L’economia europea ha necessità di avviare un modello di intelligence collettiva. A dichiararlo Antonio Vaccaro, professore ordinario e direttore del Center for Business in Society dello Iese Business School, in uno dei suoi articoli scritti nel quotidiano digitale formiche.it. Vaccaro pone in primo piano l’importanza del dialogo tra Ue e associazioni dei consumatori, oltre agli stakeholder. Quindi, tutela dei cittadini intesi come, in questo caso consumatori di beni e che, inevitabilmente, rientrano a far parte del mercato di acquisto e vendita, dove si va sempre più sviluppando l’esigenza e la necessità di controllare monitorare il mercato della sicurezza.
Interessante il focus che Vaccaro individua sulle “problematiche che emergono dall’utilizzo sempre più pervasivo dell’intelligenza artificiale (come i sistemi di guida autonoma) o alle continue scoperte nel settore medicale e della cosmetica”. La tecnologia va avanti senza tregua e per stare al passo non si fa in tempo a sviluppare normative, regolamenti che possano circoscriverlo e questo mancato controllo porta ad un cosiddetto (cit. Vaccaro) cortocircuito che portano a ridurre la trasparenza e la confidenza dei mercati portando in estrema confusione i consumatori. Ecco perché sarebbe necessario un meccanismo diverso di tutela e una collaborazione di tutti gli attori che compartecipano ad un settore mettendo a disposizione ciascuno la propria competenza a servizio del cittadino e quindi di se stessi: parliamo di università, centri di ricerca, associazioni, istituzioni, imprese. Ecco che, quindi, si parla di “intelligence collettiva” che, come dichiara Vaccaro, si tratta di un termine che ha origini antichissime, utilizzato, spesso con qualche abuso, da tante discipline, tra cui la filosofia, le scienze organizzative e ovviamente gli studi sulla sicurezza. L’idea è molto semplice: la prospettiva informativa di ciascuna parte, qualora condivisa in maniera responsabile e ben coordinata, può essere utile al sistema nella sua interezza. Quando invece le prospettive rimangono sconnesse, ecco che interi comparti rischiano di soffrire piccoli o grandi corto circuiti”. ( by formiche.net).
Ma, a questo punto, s’introduce un altro tema fondamentale, quello dello “spionaggio industriale” che rientra nelle attività di monitoraggio della intelligence.
( Antonino Vaccaro, professore ordinario dello IESE Business School di Barcellona, al Master in Intelligence dell’Università della Calabria, diretto da Mario Caligiuri).
Si tratta, ci domandiamo, di fenomeno che rientra nell’ambito politico o amministrativo o ancora meglio, nell’ambito tecnico? Come viene interpretato lo spionaggio industriale? “Nel contesto italiano è stato sempre interpretato in chiave puramente difensiva, contrariamente ad altri Paesi europei che lo assumono come attività offensiva, poiché sussiste un “retaggio culturale sulle attività di intelligence, considerate in chiave non offensiva e poi, l’Italia è storicamente un punto di attacco per lo spionaggio industriale, considerato il patrimonio di conoscenze, brevetti e capacità innovative”. Vaccaro, a tal proposito, ha dato una definizione di spionaggio industriale, inteso come “tutte quelle attività rivolte all’acquisizione e all’utilizzo di informazioni sensibili, ovvero riservate o segrete, di proprietà di un’azienda per qualunque fine che non sia l’interesse stesso dell’azienda. Mediante lo spionaggio industriale si controlla il polmone finanziario di un Paese”. Ecco che da qui “emerge la sua indubbia rilevanza ai fini della sicurezza nazionale”.
Per quel che riguarda il ruolo degli stakeholder, sempre restando nell’ambito dello spionaggio industriale, “possono essere individuati nei competitori” – è scritto nel portale della SOCINT – “che hanno interesse ad acquisire informazioni sensibili su tecnologie o persone chiave di un’organizzazione; dirigenti o funzionari interni all’organizzazione stessa, in quanto autorizzati a trattare informazioni sensibili; Servizi Segreti, per la tutela degli interessi nazionali; agenzie di spionaggio private e università. Altro fattore importante è il ciclo dell’intelligence: il tempo utilizzato per interagire e gestire una determinata attività sotto attacco cibernetico, è determinante per generare il fallimento o la soluzione di un problema.
Altro aspetto preso in esame dal prof. Vaccaro è il modello “MICE” da Human Intelligence (HUMINT), “che identifica gli incentivi che possono essere utilizzati per estorcere informazioni dal singolo individuo: il denaro, l’ideologia, la coercizione e l’ego. Qualora gli incentivi non dovessero essere sufficienti, esistono delle vere e proprie tecniche, dette di elicitazione. Tra queste si annoverano: la simulata incredulità, l’opposizione, la somministrazione di questionari e interviste formali, la conoscenza approfondita delle situazioni, interviste e il mirroring, che è basato sul concetto di totale empatia”.
Anche nello spionaggio interno che tratta concetti relativi agli incentivi organizzativi, il modello MICE pare sia il più gettonato e occupa uno spazio all’interno delle organizzazioni, dove incentivi di tipo economico, nazionale ed etico si utilizzano per manipolare le organizzazioni medesime.
Sempre nell’ambito del Master dell’Università della Calabria, diretto da Mario Caligiuri, è intervenuto , a proposito dell’Intelligence, Alberto Pagani, docente e advisor nel settore sicurezza e Parlamentare della Repubblica nelle scorse legislature, che ha trattato tematiche riguardanti nuovi sistemi di intelligence italiano nell’ambito di un contesto. Si parte da una citazione di Karl Popper “L’intelligence è osservazione e analisi, secondo cui non esiste l’osservazione pura, e Sigmund Freud, per il quale vi è un tempo per guardare e un tempo “per pulire le lenti”.
Si tratta di una metodica comune per quasi tutti i sistemi ma ancor di più se quello relativo all’intelligence si perfeziona e cambia partendo da sé stesso, attraverso una logica autoreferenziale.
Pagani, quindi, indica due punti importanti dell’intelligence e cioè quello di fornire informazioni al decisore politico, affinché sia posto nelle condizioni di adottare le scelte migliori, necessarie alla tutela della sicurezza e dell’interesse nazionale, e quello di operare attivamente, al fine di produrre vantaggio per il sistema nazionale e neutralizzare le possibili minacce. Inoltre, in merito al sistema dei servizi di intelligence dell’Italia, si trae origine “dal contesto sociale e politico dell’Italia del secondo dopoguerra, quando, all’indomani della Liberazione, con la divisione dell’Europa in due blocchi contrapposti, la Guerra Fredda si palesava in maniera sempre più evidente, mentre nel nostro Paese si affermava il più grande partito comunista dell’Occidente. Inquadrata all’interno dell’Alleanza Atlantica e proiettata verso il Mediterraneo, l’Italia ricopriva un ruolo strategico particolarmente delicato per cui ereditò il sistema degli apparati di sicurezza e di intelligence degli Stati vincitori del conflitto, in particolare della Gran Bretagna degli Stati Uniti, che hanno esercitato sempre un’importante influenza sull’Italia. Dal momento che la principale minaccia per l’Occidente era costituito dal blocco dei Paesi dell’Europa orientale, sottoposti all’influenza dell’Unione Sovietica, ai servizi segreti era essenzialmente affidata una funzione di controspionaggio e di mantenimento di strutture segrete di natura militare, come Gladio, concepite con lo scopo di contrastare un’eventuale invasione da parte delle forze sovietiche. Nel 1977 la legge 801 ha ridefinito il sistema di intelligence del nostro Paese, strutturandolo attraverso la creazione del Sismi, Servizio Informazione e Sicurezza Militare, con funzioni di controspionaggio interno ed esterno e dipendente direttamente dal Ministero della Difesa, e del Sisde, Sistema di Informazione per la sicurezza e la tutela delle istituzioni democratiche, dipendente dal Ministero degli Interni; strutture entrambe soggette al coordinamento politico tramite il Comitato parlamentare di controllo sui servizi. Con la caduta del muro di Berlino, nel 1989 è finita quella “semplice divisione” del mondo in due blocchi contrapposti, rimettendo in discussione i modelli di funzionamento dei nostri servizi e le finalità per cui furono pensati. Gli anni successivi, con l’illusione che il capitalismo democratico e liberale, vincente sul modello socialista sovietico, avrebbe conquistato e pacificato il mondo, si è assistito all’allargamento dell’Unione Europea e della Nato verso i Paesi dell’Europa dell’Est, all’avvicinamento della Russia all’Occidente, all’apertura della Cina al mercato mondiale del WTO, alla rapida affermazione di una globalizzazione dei mercati, ispirata ai paradigmi del Washington consensus”( tratto da SOCINT).
La globalizzazione, però, ha spiegato Pagani, se da un lato ha avvicinato i popoli, dall’altro li ha allontanati. Questo perché, come aveva predetto Samuel Huntington ne “Lo scontro delle civiltà”, a fronte di un’azione volta alla esportazione del modello democratico liberale capitalistico, le diverse civiltà hanno reagito con la riesumazione delle proprie tradizioni culturali e religiose. Nella sua previsione gli Stati nazionali rimarranno gli attori principali, ma i conflitti più importanti avranno luogo tra nazioni e gruppi di diverse civiltà. Lo scontro di civiltà dominerà la politica mondiale. Le linee di faglia tra le civiltà saranno le linee sulle quali si consumeranno le battaglie del futuro. L’attacco alle Torri gemelle dell’11 settembre 2001 ha mostrato agli occhi di tutti questi cambiamenti, evidenziando i nuovi assetti geopolitici e le relative conseguenze sulla sicurezza globale, causate dalle trasformazioni mondiali. Le nuove minacce, come il terrorismo di matrice jihadista, hanno posto la necessità di ripensare la struttura delle agenzie di intelligence, per farvi fronte più efficacemente. Tale processo di riforma si è concretizzato nella legge 124/2007 che ha ristrutturato il sistema di intelligence italiano, istituendo il DIS (Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza) con a capo il Presidente del Consiglio, per coordinare l’Aisi (Agenzia di Informazioni per la Sicurezza Interna) e l’Aise (Agenzia di Informazioni per la Sicurezza Esterna). Un sistema binario, dunque, con a capo l’organo di vertice del potere esecutivo. La riforma ha significato anche un cambio di paradigma, determinato dalla consapevolezza delle nuove sfide da affrontare, che ha visto una maggiore apertura al mondo civile, alle università, alle professioni, prevedendo il reclutamento del personale intelligence, non più proveniente solo dalle forze armate o dalle forze di polizia. Citando il libro di Jared Diamond, “Armi, acciaio e malattie” in cui l’autore spiega come l’Occidente ha dominato il mondo per cinque secoli, il docente ha evidenziato come tale supremazia sia stata possibile grazie alle capacità tecnologiche e belliche. Nel nuovo millennio, però, la trasformazione geopolitica è più profonda e radicale di quanto potesse sembrare. Il sociologo tedesco Ulrich Beck, uno dei massimi teorici della globalizzazione, impiega il termine “metamorfosi” per individuare una trasformazione diversa dell’evoluzione, come avviene nel campo etologico. La globalizzazione dei mercati e dell’economia capitalistica ha visto l’ascesa di nuove grandi potenze economiche, prima tra tutte la Cina, divenuta anche leader “intellettuale” mondiale, tanto che nel 2021 ha registrato, tra tutte le grandi potenze economiche, il numero più alto di brevetti. Il successo economico della Cina ha provocato profonde conseguenze sull’equilibrio geopolitico e sulla mappa delle alleanze, generando una nuova conflittualità latente. Abbandonato il Washington Consensus, la potenza cinese aspira a nuovi spazi e, in tale prospettiva, il docente, riprendendo l’espressione coniata da Graham Allison, la “trappola di Tucidide”, richiama i risultati di uno studio condotto dallo studioso statunitense che ha esaminato i precedenti storici di confronto e scontro tra potenza sfidante e potenza dominante, constatando che il conflitto armato è deflagrato in quindici casi su venti. Due ufficiali dell’Aeronautica militare Cinese, Qiao Liang e Wang Xiangsui, predissero la nuova conflittualità celata dietro la trasformazione dei rapporti di forza globali, teorizzando la “guerra senza limiti”, combattuta non più a livello militare, cinetico, ma, in modo asimmetrico, in campo economico, informativo, cibernetico. In questo, i due ufficiali cinesi anticiparono di quasi un ventennio il concetto strategico di guerra condotta nelle “zone grigie”, teorizzata dal generale russo Gerasimov.
La Cina ha quattromila anni di storia taoista, ispirata al confucianesimo e al pensiero de “L’arte della guerra” del generale Sun Tzu, sintetizzato nel motto “conosci te stesso, conosci il nemico, conosci il campo di battaglia”, evita il confronto diretto, men che meno armato. E con questa tradizione culturale trasla la minaccia verso una prospettiva asimmetrica, perseguendo un predominio attuato attraverso la leva economica. Secondo Pagani, due eventi segnano il nuovo contesto geopolitico mondiale: l’aumento dell’opportunismo politico ed economico, conseguente alla fine dei due poli, e l’avvento della “Nuova via della seta” che, attraverso le connessioni economiche, sociali e politiche, consente alla Cina di imporre un forte condizionamento sul Paese ospitante, per cui avere tanti alleati significa avere tanti voti di sostegno all’Onu. La domanda che si pone il docente a questo punto è: “il nostro sistema di intelligence è in grado di rispondere alle minacce proveniente da così lontano?” Riprendendo il pensiero di Carl Schmitt in “Terra e mare” in cui si ipotizza che la storia del mondo sarebbe il risultato dello scontro tra le potenze di mare contro quelle di terra, afferma che oggi il confronto avviene nel cyberspazio e che occorrono le capacità per prevenire e contrastare tali minacce. Nel cyberspazio, infatti, sono condotte azioni di spionaggio industriale e atti di guerra vera e propria consistenti nel danneggiamento di infrastrutture informatiche e fisiche.
Bisogna, allora, prendere atto del nuovo ruolo dell’intelligence, rispetto a un sistema ideato nel 2007, allorquando non si poteva avere contezza delle nuove minacce, proveniente da Paesi lontani o condotte nel cyberspazio, rimettendo alla politica il compito di riformare il sistema.
Infine il docente ha evidenziato l’approccio multidisciplinare che deve necessariamente caratterizzare un sistema di intelligence efficiente. A riguardo ha sottolineato che l’operatore di intelligence dovrebbe assumere sempre di più le caratteristiche dello “specialista delle connessioni”. Pertanto, una delle difficoltà maggiori è sapere esaminare le informazioni già in possesso. Emerge quindi la necessità di orientare maggiori risorse nell’analisi dell’Infosfera. ( by SOCINT)
(Antonino Vaccaro, professore ordinario dello IESE Business School di Barcellona, al Master in Intelligence dell’Università della Calabria, diretto da Mario Caligiuri).
(Alberto Pagani, docente nell’ambito del Master dell’Università della Calabria, diretto da Mario Caligiuri e advisor nel settore sicurezza e Parlamentare della Repubblica nelle scorse legislature).
Autore: Alessandra Lofino